Giacomo Ricci e la sua Cenerentola

rem_cenerentolaC’era una volta….e il sogno c’è ancora. Il sogno spesso non è sogno ma realtà e nulla è più utopistico pensare che non si realizzi. Un pensiero sciocco penserà chi legge. Ma molto spesso la vita ci meraviglia e ci fa gioire perché per una sconosciuta alchimia il sogno si realizza. E come nel finale delle migliori favole: tutti vissero felici e contenti.

Questo il messaggio che il regista Giacomo Ricci ha voluto donare nel riproporre a suo gusto e fantasia l’indimenticabile favola di Cenerentola recitata dalla compagnia teatrale del Maestro “L’Alternativa”.

Di fantastico Ricci, pur rimanendo fedele al personaggio della leggiadra fanciulla, ha mescolato una serie di realtà che oggi soffiano violentemente nel nostro mondo. Ci sono le sorellastre, la matrigna senza cuore ambiziosa e perfida. La noncuranza e la superficialità, eterni motori della dissolutezza. Ma una Cenerentola c’è sempre nel mondo, creatura pura e fedele nonostante il dolore, accetta con dignità l’oltraggio dell’umiliazione e della cattiveria della matrigna e delle sorellastre. E a questo punto il grande Ricci immette nella tenera storia della fanciulla un sodalizio che lascia intendere molte cose sui sentimenti reali della vita. La fedeltà e l’amore che il mondo animale e vegetale (allegoricamente i più puri) circondano la loro beniamina infondendole  amore, ottimismo e fiducia. E’ questo uno dei motivi per i quali la giovane lotta e sogna un futuro più lieto e ingordo d’amore. Che inevitabilmente arriverà.

Meritevoli di applausi tutti gli attori della Compagnia L’Alternativa che Giacomo Ricci  istrionico uomo di spettacolo ha saputo ben guidare dentro la storia fiabesca più amata.

UN PEPERONE UN PO’ BISLACCO

Stuzzicati nel loro orgoglio, i Peperoncini verdi decisero di organizzare una grande serata di arte culinaria. La contrada di Peperonia venne addobbata a festa. Furono chiamati per la spedizione i giovani Piccioni della città. Furono preparati dei graziosissimi biglietti d’inviti che vale la pena descrivere. I Peperoncini più giovani si legarono al loro picciolo un foglio, dove i più anziani della città avevano descritto alcune ricette che sarebbero state svolte nella grande serata. I piccoli così bardati furono sdraiati sul dorso dei giovani postini. Volando per tutta la città i postini gettavano dall’alto gli inviti e iniziò per la contrada di Peperonia una corsa a chi si sarebbe vestito meglio ed addobbato alla grande.

Caos più completo. Si formarono gruppi di Comari tra Galline ovaiole, Papere gialle come il sole, si vestirono a festa tutti gli altri animali. Ghirlande di margherite adornavano le teste delle Comari, alcune corone fatte con gli steli delle erbe divennero colletti per i maschi di Peperonia.

I Gufi anziani affittarono dei frak e le signore gufette si fecero fare delle collane tutte infiorate. Furono invitati anche alcuni serpentelli della zona, ma dovettero prima andare dal dentista Merlo Canino per farsi estrarre il dentaccio pungente. Andarono gli Scoiattoli, e tutti gli uccellini compresi dei pappagallini variopinti.

Fu allestito un grande buffet con ogni tipo di leccornìa. La tavola imbandita di Peperoni di ogni dimensione e colore circondati da Pomodori gagliardi e forti. Da bere offriono dei passati di mele e pere e frutti della passione.

Poi le comari Galline ovaiole prepararono dei dolci deliziosi farciti di frutta fresca e petali di rose.

Un banchetto così a Peperonia non si era mai visto. E la festa ebbe inizio.

La banda della Contrada era formata da Usignoli e Tortorelle. Il basso era Messer Ted il maialino. La musica ebbe inizio. Aprirono le danze il Sindaco Grilletto e signora eleganti da far paura e seguirono tutti i partecipanti. Dopo qualche ora di balli e volteggi ebbe inizio la sfilata.

Immaginate un palco grande e fiorito. Il presentatore MerloCiurlo iniziò a chiamare i concorrenti. Alle sfilate un coro di Oh, oh oh, che veniva dalla platea. Ovazioni di giubilo, allegria e tanto tifo dai parenti dei concorrenti.

Chi vinse? Erano tutti bellissimi i Peperoni. Ma vinse la coppa del “più bello della Contrada”, il piccolo peperone Roy. Era nato con un difetto al suo picciolo e aveva fatto il possibile per non partecipare alla gara. Ma i suoi amici avevano insistito. Lui non doveva sentirsi diverso da nessuno. E quando fu eletto il peperone più bello della Contrada tanto si emozionò che all’istante gli crebbe un picciolo così alto e colorato che divenne l’invidia degli amici. Da quel giorno tutti, ma proprio tutti capirono che la bellezza non è soltanto una questione di estetismo, ma anche un fatto di disinvoltura ed eleganza. Roy divenne il simbolo e l’eroe della contrada di Peperonia.

Ricetta di Peperoni

Tagliare i peperoni in pezzi consistenti.

Mettete della cipolla a fettine.

Cuocete il tutto con poca acqua fino a farla consumare.

Versatela in un piatto di portata con olio crudo, poco sale.

Bruscate delle fette di pane vecchio. Disponetele in un piatto largo e lungo.

Versateci sopra il composto di peperoni, guarnite con del basilico e…..assaggerete una golosità inimitabile.

Buon appetito

Il Merlo e la Comare e l’edilizia selvaggia

 C’è un Merlo che piange disperatamente. Le sue lamentele sono dolorose e pungono veramente il cuore. Perché un Merlo che si dispera è insopportabile. Il suo pianto non si calma e gli viene in soccorso la Comare Ernestina, la pappagalla a capo di una grande Comunità della quale poi vi narrerò.

Il pianto: ahi, ahi comare Ernestina piango perché non abbiamo più una casa, un alloggio sicuro. Ma ha visto come hanno distrutto la nostra collina, come hanno bruciato i nostri Pini secolari, hai visto che sorta di gigantesco edificio stanno costruendo quei bipedi degli uomini?

Comare Ernestina è basita. Sai Merlo, hanno cacciato anche noi che ora non sappiamo proprio come sopravvivere. Sono d’accordo con te. Era la più bella collina della zona. Ricordi i cespugli di rosmarino, le lantane colorate e i piccoli Pini che crescevano accanto a fiori selvatici e tanta erbetta fresca  e profumata di menta? Sapessi i miei figli come hanno pianto. All’improvviso, una mattina sono arrivati i Bipedi con delle macchine da paura. Hanno cominciato a scavare e scavare fino a quando della Collina e dei suoi meravigliosi frutti non è rimasto più nulla. Orrore, hanno gridato i miei piccoli. Mamma, mamma, salvaci. Butta fuori quei mostri. Beccali, pungili, falli fuggire.

E tu che cosa hai fatto? Chiede Merlo.

Cosa vuoi che abbia fatto. Siamo, è vero una grande colonia, ma come fai a metterti a lottare con degli energumeni che hanno persino un cappello di metallo in testa? Nulla si può fare contro la ferocia dei Bipedi. Ci hanno massacrato. E siamo dovuti andare via volando a più non posso.

Ed ora che faremo, chiede ancora Merlo.

Dobbiamo volare in cerca di altri Rami per nidificare. Certo è difficile. Roma era la città più bella del mondo. Pensa caro Merlo che noi Uccelli avevamo il privilegio che pochi hanno nel mondo dei Bipedi. Ci nutrivamo con le bacche delle campagne rigogliose della nostra città eterna. Potevamo nutrirci dei vermi così saporiti che qualcuno di noi è diventato anche grassoccio.

Non me ne parlare, risponde piagnucolando Merlo. Prima eravamo anche noi una popolazione di Merli pacifici e ben nutriti. Ora quando ci capita qualche verme da mangiare, sanno di polveri amare e spesso qualcuno di noi più gracile si ammala e perde le penne prima e poi la vita. Siamo disperati. Non sappiamo più come fare. Hai per caso qualche soluzione?

E quale? I Bipedi usano le armi, i bastoni e quando ci vedono ormai si mettono sulla difensiva. L’unica cosa è emigrare. Andare via da questa meravigliosa città. Non leggi i giornali che lasciano per la strada?

Di che parli Comare?

Parlo del crollo delle meraviglie di Roma. Parlo dell’edilizia selvaggia che ormai non rispetta più nulla in nome del dio Denaro.

E questo adesso chi è?

Ma Merlo caro sei proprio grullo. Non sai chi è il dio Denaro?

No. Non lo abbiamo mai conosciuto e voi?

Neanche noi: saprai che noi pappagalli siamo un po’ impiccioni e curiosi. Un giorno durante un’assemblea dei nostri anziani, tenutasi sopra una Quercia spettacolare della via Appia Antica, Il nostro Mestro ci han fatto vedere dei fogli colorati di carta e tanti pezzi di metallo.

Queste, ci ha detto il Maestro, sono il cibo dei Bipedi e si chiama Denaro. Se provate e beccarle morirete.

E allora? Che vuoi dire?

Semplice. Che il cibo sia indispensabile per vivere lo sappiamo. Noi amiamo i semi e le bacche. I Bipedi con il Denaro acquistano cibo e vestiti e altro.

Allora è giusto che abbiano distrutto la collina per costruire quel mostro di cemento?

No. Non è giusto. Avrebbero potuto farlo da un’altra parte. Il problema caro Merlo è il disinteresse che ormai c’è per la vita, umana e animale. E quei pochi Bipedi che si salvano, perché ce ne sono ed anche molti, non possono nulla contro quel dio Malefico che corrompe e macera gli animi di molti stolti. L’unica cosa sarebbe lasciarli soli. Veramente soli. Chiusi nelle loro Cattedrali mostruose che hanno costruito e per le quali si sono venduti anche le loro anime:

Emigreremo, caro Merlo. Prendi la tua famiglia ed i tuoi amici ed invece di piangere e disperarti cerca altre soluzione. Ce ne sono caro. Sì, ce ne sono.

Questa che vi ho narrato è una storia vera. Gli interpreti sono amici che ogni mattina vengono sul mio balcone per avere un po’ di cibo e di amore. Anche loro mi ricompensano. Ma nella maniera che i Bipedi non sanno fare: cinguettano e mi svolazzano vicino. E mi donano una grande felicità.

Raccontate la vostra che ho raccontato la mia.

Melanzane delle mie brame chi di voi è la più saporita del reame?

Il campo si animò. Le Zucche, i Peperoni, i Ravanelli e tante meravigliose Lattughe si misero in posa. Le melanzane furono chiamate in causa. Erano di tre razze diverse: una bianca e lunga, una viola e grassottella ed una viola tenue secca e lunga lunga. Ovviamente le mamme delle signorine melanzane si sentirono chiamate in causa. Bisognava agire in fretta perché ci sarebbe stata una selezione fissata alla fine del sesto giorno dalla chiamata ufficiale.

Si divisero in tre fazioni. Tra le bianche fu scelta Cloe. Giovanissima con un picciolo verde bottiglia e magra al punto giusto. Tea fu scelta tra le viola. Era un po’ formosa, ma aveva un certo garbo quando s’ inclinava, che la faceva diventare molto sexy. La violetta timidissima di nome Sirio non voleva partecipare. Le sembrava molto sconveniente per una giovane melanzana esporsi così di fronte a tutti. Sua madre, donna Giacinta, aveva molto insistito. Di origini siciliane Giacinta era una delle melanzane più sagge della contea di proprietà del contadino Rubbalisemi. Intanto era cresciuta vicino a un grande albero d’ulivo e pensava di aver accumulato molta saggezza e un particolare sapore. A suo tempo aveva rubato un paio di semi da una sua amica viola e li aveva interrati vicino a lei. Era molto giovane allora e Rubbalisemi vedendo questi semi strani vicino a lei glieli aveva innestati per vedere di creare una nuova specie. Ne era venuta fuori una vera chicca. Chiara, delicata, e di un sapore eccezionale che si poteva abbinare con qualsiasi altro sapore. L’aveva chiamata Sirio in onore della stella e in verità lei, Sirio era cresciuta come una piccola melanzana viziata e conscia della sua bellezza.

Ormai il suo campo era quello più visitato. Rubbalisemi era diventato ricco proprio grazie a questa nuova specie di chiare “donzelle” e quando seppe del Concorso si fregò le mani pensando già alla vittoria. Aveva discusso con il sindaco della contrada di Verduropoli, che in caso di vittoria gli aveva promesso un lungo viaggio con i prodotti vincitori al di là dell’Oceano.

Come potete ben immaginare il fermento per la preparazione della festa aumentava di giorno in giorno. Dalla vicina città di Godilbello erano arrivate due famose estetiste con valigie piene di prodotti di bellezza e profumi. Furono organizzate tre file di Melanzane. Ogni fila aveva il suo colore. I trucchi esclusivamente naturali. Una famosa casa di rossetti, la Labbrador aveva puntato su una serie di colori ricavati dalle fragole, dalle carote, dalle rose e dai girasoli. Ma non solo estetiste, anche due famosi chirughi estetici Svuotalapancia e Tirafuoriletette, furono chiamanti per qualche aggiustatina che secondo i moderni canoni estetici non guasta mai.

Le prime ad essere “abbellite” furono le Melanzane viola. Furono costruite loro due magnifiche “prime misure” e contemporaneamente a tutte fu “donato” un giro vita da sballo.

Inutile dirvi che caos tra le partecipanti. Le Melanzane bianche pretesero dal prof. Tirafuoriletette una seconda misura e dal prof. Svuotalapancia vollero un lato “B” come quello della famosa cantante Jennifer Lopez. Perché carie lettrici e lettori anche nei migliori campi arrivano notizie del gossip più casereccio. Furono accontentate. Sembrava proprio di assistere ad una riunione di bellezze tutte da aggiustare. Inutile dire quello che fecero le mamme. Potete immaginarlo. Chi si vantava del risultato delle proprie figlie esclamando che il merito era tutto dei loro geni. Mamme che pretendevano anche loro un’aggiustatina visto che erano lì. Il caos più totale miei cari lettori.

Quando ebbe inizio la sfilata il palco fu montato con un grande scivolo. (Non dimenticate che le melazane non hanno gambe) Scivolo che fu abbellito da una serie di ortaggi addobbati in pompa magna. Le Zucchine avevano riempito di margherite il loro fiore con anelli di fili d’erba. Le Zucche si misero intorno al loro picciolo tanti fiori Campanella che tintinnavano ad ogni loro rotolamento. Le Bietole, le Cicorie, i Broccoletti si unirono formando un grande fascio colorato e legato da lunghi fili di Bouganville rosse, rosa e gialle. Una festa, una grande festa alla quale parteciparono anche alcuni animaletti della contrada di Verduropoli. La signora Coccodè arrivò accompagnata dal signor Gallotti ed una nidiata di pulcini. Venne Perla, la lupa spelacchiata (perché attempata) che per l’occasione si era fatta cucire un gonnellino dalla coniglia Rosetta.

Tutta una festa. E finalmente arrivò il giorno fatidico. Rubbalisemi chiamò la tivvù, le Rane vennero con le radio. E la sfilata ebbe inizio. Chi gracchiava di qua, chi ululava di gioia di là, chi coccodeava di felicità. Abbiamo dimenticato la giuria composta da: la Lepre Scappachetisparo. La tartaruga Tina, che dovette essere presa di peso altrimenti sarebbe arrivata al banco della Giuria alla fine del concorso tanto era lenta. La rana Irma. Ed infine arrivò altezzoso come sempre il grande Giurì messer lo gufo Osvaldo con il suo monocolo appeso ad un’ala.

Tutte concitate le signorine Melanzane sfilarono. Chi scivolava fuori dal palco, chi invece ormai ridotta ad un velo di buccia sfilava sembrando più un cartone animato che altro.

Ma direte voi non mancano per caso le Melanzane bianche che sembrano albine?

Loro rifiutarono all’unisono le aggiustatine dai chirurghi. Mandarono a rappresentarle una giovanissima sorella certa Cloe. Lunga lunga, snella e coperta soltanto da un gonnellino fatto da steli di papaveri che si pavoneggiavano abbracciandola e sorridendo alla platea.

Dopo varie votazioni messer il gufo Osvaldo gufò con dovizia di particolari le vincitrici del concorso di bellezza.

Bianchina vinse il primo posto grazie alla gonnellina di papaveri. Vince Cloe anche perché non si pavoneggiò mai, era felice soltanto di aver partecipato. Vinse il secondo posto la Melanzana viola perché, lesse il gufo Osvaldo, si era distinta per l’educazione. Il terzo posto fu assegnato a Pecetta detta anche pasticciona, perché non sapendo dove mettere la protesi di una tetta che le era caduta, se l’era poggiata sul suo capino. E la cosa naturalmente fu tema di grandi risate benevole da parte del pubblico e della giuria che capì la modestia di Pecetta, nonostante l’ambizione di sua madre MaridiPeana.

Rubbalisemi era commosso. Il suo campo divenne il più bello della Contrada di Verduropoli.

Lunga la strada, lunga la via…..dite la….

IL CASALE DELLE OCHE GIULIVE

Una riunione nel Casale delle Oche giulive si teneva ogni fine mese per risolvere i problemi del condominio, oramai molto allargato ed abitato da altre razze di pennuti e quadrupedi. Era un condominio allegro, ma ovviamente con tanti problemi. La convivenza non era facile con chi voleva volare nelle ore più impensate disturbando con il battito di ali improvviso. Oppure con chi rumorosamente ragliava e grugniva per un tozzo di pane, che veniva poi regolarmente rubato dal famoso (nella storia) del terzo incomodo.

Ci voleva un po’ d’ordine, che diamine! Così pensarono delle signore Oche seccate da tanto baccano. Eleganza innanzi tutto, occhettavano le dame. Tutto si può dire o fare, ma ci vuole sempre una certa signorilità nei modi.

Quante ciance queste bigotte coccodeavano le miss Gallinefaraone. Ma chi credono di essere?

Siamo signore care pollastre da cortile. Siete abituate a zampettare nella vostra stessa sporcizia e mai una volta che vi abbia viste nell’acqua del Lago a lavarvi e profumarvi con i rami di rosmarino.

Siete soltanto delle povere schiave care Oche da strapazzo.

Insomma avrete capito che ormai nel condominio erano zuffe quotidiane. E non solo.

 Cavalli che nitrineggiavano sugli Asini accusandoli di essere volgari ed appartenenti alla più bassa borghesia, i Maialini che ogni giorno ormai andavano a rubare il cibo nella mensa in comune delle signorine Cavalline e delle signore Capre perché noi non vogliamo distruggere la nostra linea. Basta con i tuberi e il pane fatto in casa che ci propinate. Vogliamo anche noi avere una linea affusolata adatta ai tempi moderni.

La riunione si tenne nel cortile del condominio. Vennero le Mucche madri con i loro vitelli, le Pecore con i loro agnelli, le Galline, che per l’occasione erano andate nell’Istituto della visagiste Cornelia che le aveva messe a bagno in una grande vasca riempita per l’occasione di acqua del ruscello, dove galleggiavano orchidee, fiori di genzana, petali di rose selvatiche. Le aveva anche leggermente depilate, spuntato loro le ali a forma di cuore, ed in testa aveva legato con solidi fili d’erba delle margherite gialle e bianche, vennero con il loro pulcini tirati a lucido.

Inutile dirvi che sembrava più una sfilata di moda che una riunione di affari seri da discutere. Le femmine di tutte le specie sono fanatiche e ci tengono ad apparire in occasioni importanti.

L’amministratore delegato era una grande Giraffa, abbandonata a suo tempo perché priva di una zampa che gli era stata tagliata da un maldestro Buecornuto, che non aveva fatto in tempo a scansare il tagliaerbe. Era stata abbandonata presso il Casale delle Oche Giulive, curata a dovere e adottata dalla comunità. Il suo compito era di fare la portiera. Grazie proprio al suo lungo collo nulla poteva sfuggire ai suoi occhi. E vi assicuro che diminuirono notevolmente i furti e gli incidenti. Questa è la storia. Tutto abbastanza bene. Ci voleva soltanto qualche lezione di bon ton. Scelsero all’unanimità la prof.ssa Gufetta di Montecapriolo. Una nobile, ahimè decaduta, ma pur sempre una grande volatile di modi e di gusti.

Le disposizioni furono: ogni traversa della Contrada delle Oche Giulive era controllata da Messer LoLupo rosso. A ogni scorrettezza ulululava profondamente e prendeva il malcapitato per la coda o per le penne e lo costringeva a radersi completamente e girare per la Contrada fino a che non gli fossero ricresciuti gli abiti naturali.

Ci voleva anche un controllore per la via aerea. Fu chiamato all’ordine dalla Giraffa amministratore un Giffone. Scorrettezze in volo? Virata violenta, fino a prendere per un’ala l’indisciplinato. Rasatura totale anche lui. Il poveretto privato doveva appollaiarsi su un ramo di Pino (ovviamente il più basso) e subire il ridicolo dei passanti. I pulcini si comportavano male? Ebbene il loro sorvegliante che era il signor Tacchino Tobi, con i suoi lunghi barbigli, li prendeva e li puniva riportandoli a casa dentro una grande zucca vuota. Immediatamente ricevevano beccate nel loro sederino dalle Mamme miss Galline e una sonora grattata da messere Galloruspante.

Il Casale delle Oche giulive si trasformò ben presto in una grande scuola di educazione civica. Venivano da Paesi molto lontani. Vennero Cammelli, Colibrì, Zebre, Tucani… e venne persino un Orso Polare con suo figlio, il quale aveva distrutto un intero Villaggio di Igloo e per questo era stato tenuto in una gabbia di ghiaccio senza cibo per una settimana.

Nacque così una grande Comunità terapeutica che prese il nome di Collegio Internazionale delle Oche giulive, dove alle nuove generazioni, si insegnò: rispetto, cultura, concordia. E che se avessero messo in pratica gli insegnamenti avuti, sicuramente la loro vita sarebbe scorsa con meno problemi e con più amore e stima.

Larga la foglia stretta la via dite la vostra che ho detto la mia.

AD UN AMORE…


AMARTI E’ STATO UN ATTIMO

ACCAREZZARTI

UN EMOZIONE COSI’

GRANDE

CHE HA UNITO

MENTE E CUORE.

EMOZIONI GIA’ PROVATE

TANTO TEMPO FA

NON RICORDAVO

PIU’ NULLA

 NE’ LE CAREZZE

NE’ LE TENEREZZE

I BACI

LE ATTENZIONI

LE EMOZIONI

CHE POI SONO QUELLE

CHE DANNO SALE ALLA VITA

CHE TI FANNO SORRIDERE

RIDERE E ANCORA RIDERE

DI GIOIA E LEGGEREZZA

POI IL TUO AMARMI

COSI

INCONDIZIONATAMENTE

HA NUTRITO IL MIO EGO

LO HA RESO FELICE

ORA SORRIDO E CANTO

LE LODI DELL’AMORE

CHE DIRTI ANCORA?

MIO PICCOLO GRANDE

AMORE E’ FORSE QUESTO

CHE SI CHIAMA MIRACOLO?

E TU SO GIA’ CHE NON MI ABBANDONERAI

VERO?

 

Ninna Nanna per te piccolino

Care mammine in erba, i vostri cuccioli hanno necessità di nenie amorevoli. Giorni fa una mia giovane amica ha avuto un bimbo bellissimo, ma dal suo i-Phone gorgheggiavano o tuonavano, se preferite, una canzone dei Pink Floyd. Nulla da eccepire sulla loro bravura, ma capite che il piccino era tutto eccitato. In quel momento mi sono chiesta se non fosse il caso di ninnargli una cantilena. Le ho scritte pensando a voi mammine certamente, ma soprattutto al piccolo che sicuramente cadrà in dolce sonno. Con la pace di tutti.

Ninna Nanna Ninna a’o

Che bel Pupo io che c’ho

La cantava la mia mamma

La ninnava la mia nonna

La bisnonna la inventò

Cincischiando

Il lenzuolino dove il bimbo

Sonnecchiava

Proprio lei la inventò

La bisnonna non c’è più

Ma le nenie dell’amore sono state ritrovate

Perché tu mio bimbo bello

Sei per me tutta la vita

Ninna nanna Ninna a’o

Ninna Nanna Ninna a’o

Che bel pupo io che c’ho

Gira l’anno un compleanno

Tante feste e cose belle

Tu sei il Sole Pupo bello

Sei la vita che va avanti

Sei lo scudo dell’amore

Sei la linfa del Paese

Rappresenti tutti noi

Senza te nessun si sforzi

Senza te nessun comandi

Senza te arido è il suolo

Senza te nessun futuro per la Terra e per il Mondo

Ninna Nanna Ninna a’o

MOLLY LA TARTARUGA

Questa è la storia di Molly una tartaruga un po’ vecchiotta.

Mamma mia come sono sfortunata, gridava Molly, una tartaruga un po’ vecchiotta. Mamma mia gridava ed ora cosa faccio? Mi sento sudicia e piena di melma: ma come hanno potuto dimenticarsi di me dopo tanti anni di convivenza? Insomma Molly era disperata nel vero senso della parola. Che cosa le era accaduto?

Ce lo racconta lei stessa: Uh, uh, uh….sono disperata!!!

Sono rimasta sola perché la mia famiglia ha traslocato e certi brutti ceffi mi hanno presa e, insieme alle vecchie cose della casa, mi hanno gettata in uno stagno. Mamma mia come sono infelice, come sono disgraziata, ed ora come farò a vivere?Molly cominciò a rotolarsi e finì a gambe levate con il guscio che oramai si era poggiato sul terreno; Uh, uh, uh, come sono ridotta, ora morirò essiccata dal sole e tra poco se pioverà, morirò annegata nel fango.

Le sue urla si sentivano tutt’intorno, ma nessuno riusciva a capire da che parte venissero. Le rane e alcuni rospi, noti battaglieri, si vestirono per cominciare a cercare chi soccorrere. Quando si accorsero che si trattava di una buona tartaruga, le rane si avvicinarono e cercarono di aiutarla. Ma Molly cominciò a gridare più forte: Uh, uh, uh, uh, non mi fate male, non mangiatemi che la mia carne è ormai vecchia e dura; vi prego salvatemi e ve ne sarò grata. I saggi rospi della comunità, si avvicinarono e le dissero: non temere vecchia tartaruga, non mangiamo nessun tipo di carne. Siamo vegetariani conclamati e ti salveremo, stai tranquilla.

Che cosa fecero le rane ed i rospi? Presero dei lunghi fili d’erba, li annodarono alle zampe della povera tartaruga che si rassegnò collaborando. Infatti con destrezza magistrale il piano-salvataggio riuscì e Molly potette riprendere la sua posizione naturale. Tossì e ritossì:

Ora era anche in imbarazzo: che dire? Li guardò tutti quanti con quei suoi occhioni folti di rughe e, lacrimando come suo solito, disse rivolta alle rane e ai rospi: sarà difficile adattarmi alla mia età, ma se lo ritenete, potrò rimanere con voi e darvi una mano nelle faccende domestiche.

Le rane si consultarono ed i rospi diedero il loro assenso. Molly, anche se vecchia e un po’ acciaccata, fu tanto felice di non essere abbandonata al suo destino, che da quel giorno iniziò ad interessarsi alla comunità. Lei anche era vegetariana e si dedicò completamente alla cucina. Guarì dai suoi mali e diventò agile come una giovane tartaruga.

JUDY L’ AMERICANA

Judy era enormemente orgogliosa di sé. Era nata in un pollaio ad alta tecnologia in California e per questi natali si vantava con le sue amiche bitontine. Judy, infatti, un bel giorno di primavera, aveva soltanto quattro mesi di vita, era stata acquistata da un allevatore di Bitonto, un bel paesone nell’hinterland pugliese. Aveva sofferto molto i primi mesi. Il coccodè delle sue amiche un po’ troppo aperto sapeva piuttosto di cantilena e non somigliava affatto al modo di esprimersi gioioso della regione dove era nata. E’ vero che non le mancava nulla, aveva mangime a sufficienza e poi, fatto molto importante, viveva all’aria aperta, libera di razzolare come voleva. Ma le sue amiche non riuscivano proprio a capire perché si lamentasse tutto il giorno e piagnucolasse in continuazione. Judy si era molto affezionata a Ugo, un galletto tutto pepe che cercava di consolarla coccolandola intere ore. Forse Ugo era anche un po’ innamorato di questa gallinella triste e piagnucolosa. Di Judy gli piacevano le piccole penne un po’ diverse  da quelle delle altre galline, color marrone, ricche di sfumature rossicce, la cresta, color vinaccio e le sue zampette un bel giallo ocra. Inoltre quello che affascinava Ugo era quel muoversi altezzoso e quello zampettare velocissimo che lo faceva letteralmente impazzire. Con le altre ospiti del pollaio Judy non aveva buoni rapporti. Non riusciva proprio ad essere uguale a loro. Si sforzava anche parecchio di essere simile alle sue amiche, ma ad un certo punto tutto crollava e Judy si distaccava senza troppi sentimentalismi.

Un giorno Ugo, che ormai le aveva dichiarato il suo folle amore, la invitò a fare due chiacchiere sotto l’ombra di un grande e meraviglioso pino secolare che ombreggiava e profumava, con la sua grande corona di foglie, il pollaio.

Si sedettero tutti e due ed Ugo cercò con tutto l’amore che aveva nel cuore di far aprire il cuore di Judy. Lei si sentì per la prima volta in vita sua una grande ed importante gallina e se era diversa dalle altre, Ugo le assicurò che non doveva farsene un cruccio. Piuttosto le insegnò ad accettare gli eventi ed i cambiamenti della vita e l’aiutò a rendersi utile non soltanto covando. E così fu.

Iniziò immediatamente ad organizzare dei campi da lavoro. Ad ogni sua amica venne dato un compito preciso: chi raspava con le zampe e costruiva delle aiuole, aiutate da due calabroni che ronzavano tutto il giorno nel pollaio. I due infatti felici ed operosi cominciarono a gettare polline nelle aiuole che ben presto fiorirono rendendo il posto pieno di colori e profumi. Altre galline furono impegnate ad insegnare a tutti i pulcini le belle maniere, a giocare senza beccarsi e soccorrere chi di loro si faceva del male mentre le altre galline più giovani, addestrarono le più piccole ad adornarsi per i mesi dell’amore. Inoltre sempre le gallinelle, furono impegnate dalle mamme a difendere comunque la loro dignità di fronte ai giovani galli un po’ troppo arditi. Nacque così un’alleanza magnifica. Tutte per una, una per tutte, anche se non mancava qualche amica un po’ anzianotta che coccodeava brontolando. Ma sotto sotto anche quelle erano soddisfatte. Peccato pensavano, che non si fossero date da fare prima. Gertrude, la più anziana, era però un po’ invidiosa di Judy. Le invidiava la linea affusolata e l’energia vitale che sprizzava da tutti i pori. Lei ormai, era diventata appetibile, e ogni tanto quando il padrone bitontino entrava per prendere le uova, la guardava e diceva: tra poco sarai pronta per un brodo al dio-biondo. Gertrude lo ascoltava atterrita pensando a quel dio-biondo  che altro non era che un grande pentolone messo a bollire sul fuoco come era accaduto tempo fa ad una sua sorella di uovo, quando il padrone la venne a prendere stringendola per le ali, Gertrude cercò di salvarla, ma quando riuscì ad avvicinarla, la sorella era agonizzante, spennata impudicamente e privata totalmente della sua privasy. Fu il giorno più brutto della sua vita. Non lo dimenticò più. Ed ora pensava alle belle parole di Judy ed Ugo, belle parole sì, ma non per lei che era ormai destinata a ben altre mansioni: un bel brodo grasso pieno di intingoli ed aromi: un brodo al dio-biondo.

Judy vedendola tutto il giorno intenta a sgranocchiare e piagnucolare le si avvicinò: ciao Gertrude, le disse, capisco la tua ansia e i tuoi timori, purtroppo la nostra vita è già stata segnata però devi reagire e se vuoi ti aiuterò. Parli bene tu, rispose Gertrude, per me c’è troppo poco tempo ormai. Il padrone ha deciso di sacrificarmi al buon dio-biondo ed io ho tanta paura, credimi.

Judy si commosse e chiamate le amiche, decisero di mettere in atto una strategia: quella di far dimagrire Gertrude e di non renderla più appetibile. Da quel giorno misero al lavoro la vecchia gallina. La fecero raspare e ripulire ben bene il pollaio. Le diedero il compito di innaffiare le aiuole e di occuparsi della pappa dei pulcini. Quando Gertrude si lamentava le ricordavano impietosamente il pentolone dove sarebbe miseramente finita in brodo.

Ben presto Gertrude riconquistò la linea di un tempo e imparò che solo lamentarsi non serve a nulla e quando il padrone venne per prenderla la vide magra e asciutta e rimandò il brodo a tempi migliori.

Matrimonio nell’orto di Cipollonia

C’era una volta un Paese bellissimo dove vivevano felici e contenti tutti g romi del mondo. Si chiamava Beltempo, di nome e di fatto. Aveva il clima ideale per crescere e proliferare bene. Ogni tanto un po’ di pioggia regalava a Beltempo quel tanto di acqua che serviva a dissetare tutta la popolazione.

Il re e la regina erano gli eredi della grande famiglia delle Cipollonie. Una famiglia che regnava da secoli al totale servizio del suo popolo ed, in verità, erano molto amati e stimati perchè avevano accolto da generazioni tutti gli emigranti degli altri paesi che erano venuti a vivere a Cipollonia.

Messere Prezzemolo era amaro e troppo alto per loro.

I reali avevano dodici figlie e ormai disperavano di poter avere il tanto sospirato erede al trono. Non che fossero vecchi, ma anche per dei reali dodici figlie da maritare erano proprio tante.

Ogni anno, man mano che le ragazze crescevano, il re organizzava una festa, con gli sponsali delle contrade e di altri Paesi. E per fortuna ogni anno riusciva, con grande sollievo a far sposare ad una ad una le sue figlie.

Ormai ne erano rimaste tre in età da marito, ma purtroppo essendo le più piccole della nidiata, erano le più viziate e le più esigenti.

Il re e la regina erano veramente disperati. Messere Peperoncino era troppo forte per le signorine che starnutivano e diventavano tutte rosse ogni volta che li incontravano.

Per non parlare poi di quando si incontravano con la famiglia dei sedani.Erano troppo altezzosi e di sicuro avrebbero dato tutte le loro coste per potersi imparentare con la grande famiglia reale.

La disperazione ormai reganava nel Palazzo reale. Ed il Re e consorte si erano ormai rassegnati ad avere in casa tre zitelle.

Ma un giorno, tutta la contea di Cipollonia fu svegliata da un grande baccano. Dagli orti si affacciarono tutti gli aromi, infastiditi ed insonnoliti e videro un carretto carico di strani verdurine. Erano ammassati e scuotevano il capo tanto forte da provocare delle zaffate terrificanti. Tanto erano maleodoranti che in un battibaleno gli aromi si chiusero nelle loro casette e si rifiutarono di uscire.

Ma il Re e la Regina non potettero far finta di nulla. E avvolti in grandi foglie di basilico uscirono in piazza per sapere chi fossero questi invasori e come mai puzzassero tanto.

Scese dal carretto uno strano esserino tutto a spicchi che camminava dondolando e scuoteva il suo lungo cappellino verde. Si inchinò davanti alle sue maestà e quell’inchino fece svenire i reali che soltanto dopo una sventolata di foglie di verbena si li ripresero. “Siamo Agli dell’Asia – Maestà – e siamo venuti a Cipollonia per chiedere asilo politico. Nel nostro grande Paese il caldo ci sta uccidendo e vorremmo vivere nel vostro Paese”.

Nel frattempo le tre sorelle, ormai ritenute zitelle, vedendo quei bellissimi giovanotti tutti a spicchi se ne innamorarono e decisero che ne avrebbero sposati tre. Ma soltanto quelli che riuscivano a non puzzare tanto.

Seppure a malavoglia i reali organizzarono una grande festa da ballo dove furono invitati gli aromi nobili del Paese.

Quando arrivarono gli “asiatici” ci fu un fuggi fuggi generale. Soltanto tre di loro si avvicinarono e levatosi dal capo il ciuffo verde, miracolosamente ogni cattivo odore scomparve.

Si sposarono con le tre sorelle di Cipollonia e da quel giorno entrano in pentola insieme, a patto però che gettino il cappello. E dal loro matrimonio nascono ogni giorno buone pietanze.

I reali avevano dodici figlie e ormai disperavano di poter avere il tanto sospirato erede al trono. Non che fossero vecchi, ma anche per dei reali dodici figlie da maritare erano proprio tante.

Ogni anno, man mano che le ragazze crescevano, il re organizzava una festa, con gli sponsali delle contrade e di altri Paesi. E per fortuna ogni anno riusciva, con grande sollievo a far sposare ad una ad una le sue figlie.

Ormai ne erano rimaste tre in età da marito, ma purtroppo essendo le più piccole della nidiata, erano le più viziate e le più esigenti.

Il re e la regina erano veramente disperati. Messere Peperoncino era troppo forte per le signorine che starnutivano e diventavano tutte rosse ogni volta che li incontravano.

I reali avevano dodici figlie e ormai disperavano di poter avere il tanto sospirato erede al trono. Non che fossero vecchi, ma anche per dei reali dodici figlie da maritare erano proprio tante.

Ogni anno, man mano che le ragazze crescevano, il re organizzava una festa, con gli sponsali delle contrade e di altri Paesi. E per fortuna ogni anno riusciva, con grande sollievo a far sposare ad una ad una le sue figlie.

Ormai ne erano rimaste tre in età da marito, ma purtroppo essendo le più piccole della nidiata, erano le più viziate e le più esigenti.

Il re e la regina erano veramente disperati. Messere Peperoncino era troppo forte per le signorine che starnutivano e diventavano tutte rosse ogni volta che li incontravano.

Scese dal carretto uno strano esserino tutto a spicchi che camminava dondolando e scuoteva il suo lungo cappellino verde. Si inchinò davanti alle sue maestà e quell’inchino fece svenire i reali che soltanto dopo una sventolata di foglie di verbena si ripresero. “Siamo Agli dell’Asia – Maestà – e siamo venuti a Cipollonia per chiedere asilo politico. Nel nostro grande Paese il caldo ci sta uccidendo e vorremmo vivere nel vostro Paese”.

Nel frattempo le tre sorelle, ormai ritenute zitelle, vedendo quei bellissimi giovanotti tutti a spicchi se ne innamorarono e decisero che ne avrebbero sposati tre. Ma soltanto quelli che riuscivano a non puzzare tanto.

Seppure a malavoglia i reali organizzarono una grande festa da ballo dove furono invitati gli aromi nobili del Paese.